Via Guido Negri, 9/c, Este
Tel./ Fax 04292085
Il
museo ospita nella cinquecentesca sede di Palazzo Mocenigo i materiali
archeologici più rappresentativi della cultura dei Veneti
antichi. A ciò si affiancano rilevanti testimonianze relative
al centro romano di Atheste. Di grande interesse una tomba etrusca
completa di ben 125 oggetti di corredo, nonché le nota "Situla
Benvenuti", capolavoro della lavorazione a sbalzo del VII sec.
a.C. .
Un primo nucleo museale
fu istituito a Este già dal 1834, presso l’oratorio
di Santa Maria dei Battuti, con i reperti dei locali collezionisti.
L’attuale sede fu inaugurata nel 1902, nel cinquecentesco
Palazzo Mocenigo, costruito su preesistenti tratti del bastione
del castello dei Carraresi (XIV sec). Riaperto al pubblico nel 1984
a seguito di una ristrutturazione, il museo, con le sue 11 sale
disposte su due piani, espone attualmente interessanti testimonianze
della civiltà dei Veneti, in un arco di tempo comprendente
tutto il I millennio a.C.
I più antichi rinvenimenti
umani della zona sono esposti nella prima sala del percorso (attrezzi
litici compresi in un arco di tempo che spazia dal Paleolitico fino
alla fine dell’età del Bronzo). La seconda sala è
dedicata ad Este nell’Età del Ferro e alla sua quotidianità
(vasellame da cucina, alari, manufatti domestici). Nella terza sala
troviamo la sezione dedicata ai culti funerari comprendenti tutto
il periodo protostorico e preromano (X-III sec a.C.). Ciò
permette di rileggere le trasformazioni sociali in atto e l’evoluzione
tecnologica nell’impiego dei materiali all’interno della
comunità. Corredi maschili di ricchi cavalieri, con la bardatura
equina, e femminili, di grande sontuosità, con ornamenti
e accessori di abbigliamento in bronzo, ambra, pasta vitrea. Di
rilievo la situla bronzea decorata a sbalzo e ad incisione con scene
figurate, della fine VII sec.a.C. L’uso di oggettistica di
ceramica fine, (vasellame decorato a fasce rosse e nere), rileva
una certa omogeneità nella produzione intorno al VI-V sec.,
più che altro di origine greca ed etrusca. La IV sala espone
bronzetti e lamine votive dei santuari suburbani di Este. Da segnalare
gli alfabetari e stili scrittori bronzei che documentano l’insegnamento
della scrittura da parte di sacerdotesse consacrate alla divinità
femminile Reitia. I recenti rinvenimenti portati alla luce in varie
località di scavo, raggruppati topograficamente, sono visibili
nella sala V: riguardano zone al "confine" con i Reti,
il padovano e il veronese e si riferiscono a periodi che vanno dal
Bronzo finale all’età preromana. Al pianoterra, la
sesta sala è dedicata alla romanizzazione di Este: al centro
della sala una tomba monumentale del III sec.a.C., con la ricostruzione
del suo corredo. Nella VII sala si documenta il tempio dei Dioscuri
e i reperti dell’Ateste pubblica romana, mentre nella sala
seguente sono esposti i monumenti e i corredi delle sue necropoli.
Il contenuto delle sale IX e X si riferisce rispettivamente a oggettistica
quotidiana e ai mestieri, e alla domus scoperta presso villa Albrizzi,
dove venne rinvenuto, fra l’altro, un frammento di soffitto
affrescato. La visita si conclude nella XI sala, in un altro contesto,
con una famosa madonna con bambino su tavola di Cima da Conegliano
(1504).
Venetica Reitia
Reitia,
signora delle fiere, dei boschi e delle acque, dea guaritrice (Sainate
Restia, “sanante”) e dell’arte della scrittura,
rappresenta una delle principali divinità adorate dalle popolazioni
Venete in epoca preromana e romana. Tra i santuari a lei dedicati
più famosi, sicuramente al primo posto vi è il santuario
di Este (la romana Ateste), che ha restituito al presente preziosi
artefatti votivi a carattere magico-simbolico, rappresentanti la
dea e i caratteri fondamentali del suo culto.
Originariamente introdotta dalle genti paleovenete
- stabilitesi nel zona dell’attuale Veneto, Friuli-Venezia
Giulia e Trentino Alto Adige attorno al I millennio a.C. -, Reitia
mantiene un ruolo di predominanza anche in epoca romana, assumendo
come caratteristiche proprie: la protezione dalle malattie (nei
suoi luoghi di culto sono state trovate figure in bronzo rappresentanti
parti del corpo umano), la fecondità (Pora, derivazione dal
latino pario e paro, collegato a “opifera” e “puerpera”)
e l’associazione all’arte della scrittura. È
proprio a Baratela, nei pressi di Este (Pd), che vengono infatti
rinvenuti pregiate tavolette dedicatorie in bronzo, con esempi di
scrittura venetica (principalmente iscrizioni votive), la trasposizione
scritta della lingua localmente diffusa in caratteri alfabetici
nord-etruschi.
Iconograficamente era rappresentata con pelli
di lupo e una chiave in mano (come l’anatolica Cibele, figlia
di Gea) e fin dalle prime apparizioni fu messa in relazione con
l’antichissima dea di Babilonia Inanna, con la dea della caccia
greca Artemide (ma anche con Afrodite) e successivamente assimilata
alla Rea Silva romana, madre dei gemelli fondatori della nuova stirpe
di conquistatori. Come d’uso tra i romani, il culto della
dea non fu estirpato dalle popolazioni autoctone, bensì assorbito
e mantenuto vivo localmente. Preferenziali luoghi di culto erano
gli spazi aperti in cui venivano offerte libagioni e sacrifici,
in un contesto prettamente naturalistico.